Atri. Nelle sale di Palazzo De Albentiis la mostra che racconta il ricco mondo interiore di

MASSIMO IOMMARINI

 

 

ATRI – Le sale del rinnovato Palazzo De Albentiis, il cui piano terra è sede del Museo Archeologico, l’estate scorsa hanno ospitato l’interessante mostra di pittura dell’artista atriano Massimo Iommarini, che ha fatto seguito ad una prima mostra che nel 2011 suscitò non minore interesse: quella dedicata a Carlo Verdecchia, pittore abruzzese scomparso, anch’egli atriano, formatosi alla Scuola Napoletana. Con questa nuova, eccezionale esposizione, e con quella dedicata a Ireneo Ianni nel Papalzzo Acquaviva, Atri si è confermata una città attenta alla propria storia e ai suoi figli più illustri che si sono distinti nei vari campi della cultura.

Massimo Iommarini, si avvicina alla pittura da protagonista, sul finire degli anni ’70: gli anni seguenti costituiscono per lui un periodo che matura la sua vocazione, anche attraverso molteplici incertezze, riflessioni sull’arte, l’osservazione dei grandi del passato. È un momento di grande fervore, che gli artisti conoscono bene, prima del coraggioso debutto.

Massimo Iommarini nasce ad Atri nel 1958. Dopo la morte prematura del padre Giuseppe, che segna la sua infanzia, viene ospitato nel Convitto Nazionale “Melchiorre Delfico” di Teramo. In quel Liceo Artistico si diploma nel 1975. Tuttavia il suo rapporto con la tavolozza è discontinuo, anche per la molteplicità di interessi: alla pittura affianca lo studio della musica, la sua seconda Musa, e la poesia. Con la chitarra accompagna le canzoni che lui stesso compone: ha una bella voce e uno spiccato senso musicale.

Questa attività varia e saltuaria, da vero artista, conduce ai primi anni ’80, anni in cui la sua personalità, agitata da una giovanile ansia di creazione, trova finalmente un suo linguaggio espressivo. Al 1984 risale la sua prima mostra ufficiale a Treviglio, storico centro della Pianura Padana in provincia di Bergamo . Seguono altre mostre: Pineto, Atri, Bergamo, Pescara (Casa D’Annunzio) e, nel 1992, L’Aquila (Castello), che lo riempiono di apprezzamenti calorosi, anche da parte della critica del settore.

La sensibilità dell’artista, sempre alla ricerca di un linguaggio assolutamente personale, si affina in questo periodo attraverso la continuità del proprio lavoro e la visione dei maestri antichi e contemporanei. Massimo vive questi anni con serenità, fiducioso di seguire la via giusta; ha compreso finalmente quale sarà la sua strada, come non pochi versi delle sue toccanti poesie valgono a dimostrare. Ma se adesso ha un preciso concetto della creazione artistica, egli è però alla continua ricerca di un linguaggio personale, e attraverso lo studio cerca di perfezionare i suoi mezzi espressivi. E ci riuscirà: l’intera opera di Massimo ha elementi distintivi forti, assolutamente unici e caratterizzanti, come la mostra a Palazzo De Albentiis conferma ampiamente. Dallo studio minuzioso delle opere degli impressionisti e post-impressionisti francesi Massimo cerca di carpire i segreti dei colori, delle forme, ma anche i vari “percorsi” che il pennello traccia sulla tela, spinto dalla mano creatrice del pittore. Ammira specialmente Monet, Seurat, Gauguin, Cézanne, Toulouse-Lautrec e soprattutto Van Gogh, del quale possiamo intravedere la lezione in svariati lavori: “A Van Gogh” del 1984, nel “Ritratto” del 1986, e nei “Paesaggi” del 1990 (opere nn. 200, 201, 204 e 205 del catalogo).

La mostra ci parla anche dell’amore di Iommarini per la campagna, per i suoi svariati volti, le luci particolari. L’operoso mondo contadino, della povera gente, ha un fascino tenero e antico, e l’artista non si stanca di raffigurarne gli “Ulivi” (ricorrenti nelle tele del pittore e amico polacco Zakrzewski), i “Contadini che mietono” del 1988, o la “Contadina” del 1987. Anche il mare, in tutta la sua meravigliosa possibilità cromatica, ha offerto al nostro artista spunti di alta ispirazione, in svariate opere, anche se per brevità ci limitiamo a ricordare “Mare in burrasca” (1983, op. 150 del catalogo), “Ponte sul mare” (1981, cat. op. 152), e “Mare” (1983, cat. Op. 151).

Tra i tanti ritratti, che rivelano la notevole capacità di leggere l’anima oltre lo sguardo, mi piace qui ricordare “Bimba birmana vestita a festa” del 1985 (op. 298 del catalogo, con altro titolo: “Bimba con fiocco”) e “Cuoco” (1986, cat. op. 250). Infine i fiori e un gran numero di paesaggi, dove il vero è liricamente trasfigurato attraverso una linea ora contorta, ora spezzata, ora avvolgente, sempre agitata e commossa, che fa di Massimo Iommarini, prematuramente scomparso nel 1994, un pittore di grande respiro che onora la pittura abruzzese.

L’elegante catalogo della mostra, di ben 260 pagine, corredato anche da un’interessante raccolta fotografica e da note illustrative di Antonio De Santis e Amanzio Possenti, è stato curato da Massimo e Arianna Iezzi. 

Concezio Leonzi