Pubblicato Domenica, 21 Aprile 2024
Scritto da Nicola Cerquitelli

L'inquietante caso Scurati

LA FESTA DELLA LIBERAZIONE,
LA NOSTRA STORIA DI LIBERTA'

La data del 25 aprile, Anniversario della Liberazione dal regime fascista, si presenta quest’anno segnata da un’Italia in stato spettrale. La memoria collettiva del nostro Paese è diventata un campo di battaglia, in cui i vincitori delle elezioni dell’ottobre del 2022, la destra espressione della cultura post-fascista istituzionalizzata, tenta di gettare nell’inconscio, ossia di rimuovere, i concreti fatti materiali e storici che hanno portato alla sedimentazione della loro stessa cultura di provenienza. In poche parole, la destra post-fascista oggi al governo, erede del MSI, non riesce a fare i conti con la propria storia perché è consapevole che questa storia è macchiata di fatti indicibili e tenta con tutti i mezzi di contrastare chi fa riemergere in superficie il loro passato rimosso.

È inquietante la cancellazione di un intervento dello scrittore Antonio Scurati sul 25 aprile, censurato dalla televisione pubblica proprio perché nel suo discorso, diffuso dai giornali, veniva richiamata quell’origine rimossa di cui parlavamo sopra.

Quest’anno, Milano, con una serie di iniziative, sarà l’epicentro del 25 aprile. Piazzale Loreto è infatti un luogo simbolo della Resistenza. Qui, il 10 agosto 1944, quindici uomini, prigionieri politici antifascisti, furono prelevati dal carcere di San Vittore e trasportati nel sopracitato piazzale dove furono uccisi per mano dei miliziani della legione “Muti”. L’eccidio avrebbe dovuto avere secondo le intenzioni dei nazi-fascisti una potente “carica simbolica”: un crudele e sanguinoso deterrente nei confronti della popolazione milanese accusata di proteggere o aiutare i partigiani.

L’operazione fu condotta da fascisti italiani, capitanata da Theodor Saevecke.

I corpi furono esposti sotto il sole d’agosto per più di 12 ore, oggetto anche di offese e scherni da parte dei miliziani della Muti e della GNR. I partigiani, un anno dopo, scelsero proprio piazzale Loreto per esporre il cadavere di Mussolini e degli altri gerarchici fascisti.

In seguito, dopo il 1946, si cercò di intentare un procedimento penale nei confronti dei responsabili dell’eccidio del ‘44. Ma il fascicolo in questione, n. 2167, fu occultato e rimase, come altri processi delle stragi nazifasciste, sepolto in un armadio della procura militare di Roma. Solo nel 1999 il capitano delle SS Saevecke fu condannato in contumacia, dopo aver fatto carriera nella Germania del Dopoguerra all’interno della polizia tedesca ed essere reclutato dalla CIA con il nome in codice di «Cabanjo».

Nel 1945, fu eretto un cippo commemorativo in piazzale Loreto, ma la guerra fredda condizionò le celebrazioni e solo nel 1961 si arrivò ad un vero monumento.

Piazzale Loreto purtroppo non rappresenta per tutti un simbolo dell’Italia libera e democratica, a causa di una destra che preferisce riscrivere la storia piuttosto che ripudiare il suo passato.

Sarebbe compito fondamentale della sinistra e dei democratici di questo Paese custodire giorno per giorno i valori dell’antifascismo. Il problema è che la ricerca di campi larghi o stretti, la rincorsa a vuoto del “centro politico”, impediscono la definizione di parole e programmi chiari e precisi da poter opporre ai valori della destra. Il Partito Democratico, impegnato ad inseguire improbabili alleati politici, finisce in questo modo per opporre ai valori di questa destra post-fascista un pensiero “debole”. La confusione regna così sovrana. 

Come sottolineava Emanuele Macaluso in un bel libro di qualche anno fa, Al Capolinea, quell’unione a freddo tra differenti culture politiche che ha portato alla nascita del PD, ha comportato come inevitabile conseguenza la nascita di tante congreghe elettorali, di tanti capibastone e cacicchi politici, invece di aprirsi all’ascolto delle sezioni. Si è voluto fare un partito “leggero” togliendo le sezioni. Emblematica è stata la chiusura delle sezioni nelle cinture operaie del Nord Italia, lamentandosi poi che gli operai con la tessera CGIL in tasca votavano Lega, la quale nel frattempo apriva invece le sezioni.

Quest’ultime rimangono il luogo fisico e intellettuale che definiscono il pensiero “forte” di un partito. Solo tornando ad ascoltare le sezioni, forse, si riuscirà a richiamare a raccolta tutti quei compagni che si sono “rifugiati nei boschi”, come ripete spesso Pierluigi Bersani. Dopo il caso-Basilicata, sarebbe opportuno liberarsi di figure come Calenda e Renzi i quali, oltre che profondamente inaffidabili, rappresentano dei corpi estranei ai valori della sinistra.

Davanti ad una destra di governo che usa, in maniera inquietante, l’arma della censura contro intellettuali “colpevoli” di richiamare l’attenzione su un passato che la destra vorrebbe lasciare nell’oblio, la sinistra deve dotarsi di un pensiero “forte”, chiaro, netto, senza balbettii ed incertezze. Se invece l’obiettivo è un pensiero “debole”, che insegue in maniera disperata ed affannosa personaggi esterni alla nostra storia, ci sarà allora un lento declino. Perché il rischio più grande è di perdere la battaglia sull’egemonia “culturale” che, come insegnava Antonio Gramsci, è l’arma più potente contro lo spettro del fascismo, il quale altrimenti continuerà ad infestare la democrazia italiana. 

Nicola Cerquitelli